Diana Vreeland
“Diana” di Beatrice Brandini
Diana Vreeland: “Lo style è tutto, lo style è la via per la vita, senza di esso sei niente”
Alcuni miei schizzi che sintetizzano l’estetica della Vreeland.
Diana Vreeland aveva stile, personalità e fascino. Diana Vreeland è stata una delle poche che è riuscita a raccontare, attraverso le pagine di una rivista, l’evoluzione di un’epoca di grandi cambiamenti, come quella avvenuta negli anni Sessanta.
“Non amo il narcisismo ma approvo la vanità”; “La maggiore volgarità è qualsiasi imitazione della giovinezza e della bellezza”; “Noi facciamo spettacolo”; “L’occhio deve viaggiare”, alcune delle sue frasi più celebri.
Nata e vissuta a Parigi nel momento in cui questo magico luogo era la capitale del mondo; pensiamo alla Belle Epoque, ai primi grandi couturiers come Poiret o Chanel, ad artisti come Picasso, Matisse, i locali notturni, Parigi era la vita!
Fu notata dall’allora direttore di Harper’s Bazaar che le propose una rubrica nella rivista, “Why don’t you?”, rubrica che anticipò i tempi insegnando alle donne della ricca borghesia, come essere eleganti. Successivamente divenne redattrice capo, per poi passare, nel 1962, a Vogue e diventarne direttore.
Capì che il fascino era la vera bellezza, fece infatti diventare delle icone (le modelle ancora non si chiamavano per nome, ma erano semplicemente dei “manichini” viventi) donne magnetiche come Twiggy, Veruschka o la Hutton, stravolgendo i classici canoni di bellezza.
Vogue USA 1966- Veruschka by Avedon
Aveva un gusto talmente personale e avanti per quegli anni, che i suoi servizi erano sensazionali, collaborando, come per le modelle, con giovanissimi ma telentuosissimi fotografi che si chiamavano Beaton, Penn o Avedon. Concependo i servizi di moda come reportage, realizzati in giro per il mondo.
La sua rivoluzionaria visione indusse modelle, fotografi, stilisti (grande estimatrice di Valentino e Missoni, per esempio), ad esprimersi al meglio, il loro talento fu messo al servizio di questo personaggio dall’enorme estro creativo, diventando tutte delle celebrità.
Negli anni ’70 Vogue la licenziò su due piedi (anche le divine hanno delusioni, proprio come noi…, l’importante è non demoralizzarsi mai e ripartire), la sua interpretazione di moda come sogno non era più allineata ai tempi (io direi probabilmente anche che non era “al servizio” degli inserzionisti) .
Le venne offerto un incarico come consulente del Costume Institute del Metropolitan Museum. Anche in questo caso Diana rivoluzionò questa figura che fino allora era solo una sorta di “polverosa impiegata” volta ad archiviare e catalogare abiti. Lei raccontò la vita degli abiti, attraverso le loro epoche, con glamour e magia.
DV al Metropolitan Museum
Era vivace, brillante, umana, anche se temutissima nel suo lavoro. Vreeland era il cognome del marito, il raffinatissimo Reed, sposato nel 1924 e con il quale costruì un unione saldissima e felice.
Amo profondamente questa figura femminile, così geniale, eccentrica, anticonformista, una donna che mi ha spinto ad intraprendere questa meravigliosa professione nella moda. Un’anticonformista e una visionaria, con un gusto e una visione estetica superiore alla media.
Grazie Diana per avermi ispirato!
Buona vita a tutti!
Beatrice
Ciao Beatrice! Sei proprio un numero 1, l’ho sempre pensato e continuo ad averne conferma ogni volta da ciò che fai e dici. Ti seguo sempre e imparo un sacco di cose. In bocca al lupo per tutto e grazie di esistere! Angelo
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