Gianfranco Ferrè, Repubblica.it
“NADINE” di Beatrice Brandini
Oggi parlo di colui che è stato uno dei più grandi stilisti (e stilista è un termine riduttivo parlando di Ferrè) che il “Made in Italy” abbia mai avuto. Le sue collezioni e ogni suo capo sono degni di un esposizione presso un museo del Costume, ma anche in quello del design, dell’innovazione, dell’opera d’arte.
Mi spiace moltissimo che però, dal momento della sua improvvisa scomparsa, non abbia avuto il giusto riconoscimento, che nessuno gli abbia dedicato una mostra postuma presso un museo (ad eccezione dello splendido lavoro della Fondazione Ferrè), insomma che non sia stato celebrato come si fa per i più grandi artisti.
Documentandomi meglio sulla sua vita, ho scoperto molte cose incredibili e toccanti. Conoscevo il creativo, l’architetto, il primo stilista italiano chiamato nel tempio del lusso e dell’imprenditoria francese, da Dior, aprendo la strada a tutti gli altri giovani talenti italiani (Marras da Kenzo, Tisci da Givenchy, Pilati da Saint Laurent, ecc.). Ma non sapevo dell’uomo schivo e timido, instancabile lavoratore, che fece una lunga e paziente gavetta, che lavorò anche per tre aziende contemporaneamente in tre città diverse. Che conosceva tessuti, materiali, ma anche i macchinari che servivano a realizzarli; che pretendeva molto dagli altri (assistenti, collaboratori, fornitori), ma soprattutto da se stesso.
Due abiti di Ferrè per Dior
Determinato e timido, brusco e tenero, conservatore e trasgressivo, rigoroso e goloso, un anima ricca di contraddizioni, ma sempre schietta e sincera; ancorato alle sue origini, legatissimo alla sua famiglia e alla provincia, Legnano, sua città natale.
Da studente di architettura fu catapultato nel mondo della moda, dove in pochi anni conquistò fama internazionale, senza mai montarsi la testa. Cercava, come tutti, un suo posto nel mondo, sapendo però che avrebbe viaggiato, che avrebbe reso le donne più belle ed eleganti, che sarebbe andato lontano con la fantasia.
Il suo “esordio” nella moda si deve agli accessori, più precisamente a delle cinture che realizzò per le amiche, e che, grazie al passaparola, divennero presto richiestissime. Essendo infatti molto belle e moderne furono notate da Rosy Biffi, dell’omonima boutique di Milano. Fu addirittura il marito di Rosy, Franco Limonta, che chiese di disegnare a Ferrè una piccola collezione di capi in pelle, questo episodio, che poteva essere una piacevole parentesi dagli studi di architettura, fu il suo debutto nella moda, era il 1968. (Rosy Biffi disse una volta “con lui ho fatto le più belle vetrine che io ricordi nella vita. Ed ho sempre venduto tutto”).
Sfilata Ferrè
Da lì in avanti il suo nome comincia a circolare, soprattutto fra le giornaliste, Anna Riva e Anna Piaggi (due pioniere del giornalismo di moda!) furono fra le prime a comprenderne la bravura, gli commissionano infatti accessori per i redazionali su Arianna o Vogue. I suoi amici e compagni di università ricordano che Ferrè era uno che guardava lontano, non ambizioso, ma di idee alte, vaste. L’unico a tentare qualcosa che fosse al di là della provincia dalla quale proveniva.
“NATHALIE” di Beatrice Brandini
In questi anni collabora con varie aziende, ricordiamo il supporto a Walter Albini per la creazione di accessori, le linee per la Ketch, e per la San Giorgio. Quest’ultima lo manda perfino in India, per ricerca tessuti, lavaggi, ispirazione. Questo viaggio lo segnerà profondamente, condizionando la sua estetica e gettando le basi di ciò che rimarrà inevitabilmente e costantemente lo stile Ferrè: le sete, le garze, le righe, i tessuti cangianti, il rosso, colore sacro della dea Lakshimi, protettrice della bellezza e dell’abbondanza, l’oro, il kurta, la famosa camicia indiana con il colletto a listino…. Ma la “lezione” più importante dell’India fu quella della ritualità e dedizione del lavoro, in cui Ferrè si riconosceva moltissimo, un po’ il vero spirito del prét-à-porter, che nasce come creatività ma mai separata da risorse artigianali o industriali.
Edda Dondi, della Dondi Jersey, ricorda che Ferrè non si limitava a scegliere i tessuti, SPERIMENTAVA, chiedeva di realizzare cose particolari mettendo a dura prova perfino i macchinari. Ma sapeva quello che voleva e come realizzarlo. Prima di allora l’azienda faceva semplicemente della maglina elasticizzata, dopo l’incontro con Ferrè, che divenne anche loro consulente, realizzarono tessuti jersey con fili di rame e seta, lino filato con rafia, “era un creatore geniale ma anche un ricercatore”, sempre dalle parole di Dondi.
Sfilata Ferrè
Tuttavia l’incontro più importante, quello che segnerà il destino di Ferrè, fu quello con Franco Mattioli, un industriale bolognese concreto e soprattutto molto lungimirante che aveva fondato un’azienda tessile, la Baila. Questo signore credette nel giovane Ferrè fin dal primo incontro, tanto da proporgli di disegnare la loro prima linea, in completa e totale libertà, era il 1974. Nonostante l’indubbio talento di Ferrè le collezioni non furono capite, troppo avanti e creative per il gusto di allora, questo non scoraggiò Mattioli che continuò a credere in lui, infatti per ben cinque anni le collezioni Baila by Ferrè furono prodotte e commercializzate, senza mai raggiungere il successo sperato e meritato.
Nel 1978 nasce la Gianfranco Ferrè, in ottanta metri quadri in Via Conservatorio a Milano, soci, al cinquanta per cento, l’industriale di Bologna e lo stilista di Legnano. Fondamentale la figura di Rita Airaghi, una collaboratrice, assistente, segretaria, amica, e forse un vero alter ego per Ferrè.
“CAMILLE” di Beatrice Brandini
Da qui in avanti è una consacrazione, soprattutto da parte dei mercati esteri, primo fra tutti quello americano. Nel 1981 viene inaugurata a Milano, in via della Spiga, la prima boutique di Gianfranco Ferrè; tredici anni dopo le boutique monomarca diventano 130 e 400 i punti vendita nel mondo.
Nel 1982 nasce la collezione uomo. Nel 1986 la prima collezione Ferrè di Alta Moda. Nel 1989 il contratto per disegnare l’Alta Moda per Dior.
Nonostante questi incredibili traguardi Ferrè ripeteva: “Il successo, per quanto mi riguarda, resta fuori dalla porta, non lo ostento ed ho imparato che, per sentirsi forti, bisogna mantenere saldi i propri valori”.
Concludo il “racconto”, come spesso accade per personaggi di questo valore, con tanta nostalgia e un pizzico di amarezza. Mi rasserena soltanto pensare che andandotene hai ritrovato i tuoi adorati affetti e che le tue creazioni sono e saranno sempre la testimonianza del tuo smisurato talento.
Arrivederci Gianfranco e grazie di cuore!
Buona vita a tutti!
Beatrice
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