Salvatore Ferragamo, scarpa “The Star”, 1926. Foto Arrigo Coppitz, courtesy Museo Salvatore Ferragamo, Firenze.
“Shelby” di Beatrice Brandini
Da pochi giorni è stata inaugurata una bellissima mostra presso il Museo Ferragamo a Palazzo Spini Feroni di Firenze (sarà aperta fino al 2 Maggio 2018), essa celebra i novant’anni dal ritorno di Salvatore Ferragamo in Italia (era il 1927), dopo dodici anni trascorsi negli Stati Uniti.
Scorci della mostra “1927 Il Ritorno in Italia”. Courtesy Museo Salvatore Ferragamo, Firenze
Scorci della mostra “1927 Il Ritorno in Italia”. Courtesy Museo Salvatore Ferragamo, Firenze
Non ancora diciassettenne, Salvatore Ferragamo partì da Napoli con l’intento di approfondire le sue conoscenze calzaturiere, e con un desiderio, quello di creare scarpe perfette. Importante sottolineare che non lasciò il suo paese per cercare fortuna, condizione di molti italiani dell’epoca, Salvatore lavorava già nella sua Bonito, in Irpinia, faceva il ciabattino con un suo negozio che confezionava scarpe per le signore di tutto il paese; attività che aveva iniziato a undici anni. Ma l’America rappresentava la modernità, un richiamo irresistibile, e, soprattutto, un luogo all’avanguardia per macchinari di assemblaggio tomaia/suola, quindi una grande opportunità.
Immagino la sua felicità e fierezza nel rientrare in Italia, dopo dodici anni, da uomo ricco e soprattutto di successo. Aveva aperto un negozio prima a Santa Barbara e poi a Hollywood, frequentato da stelle del cinema (da qui il soprannome coniato proprio negli Stati Uniti “il calzolaio delle stelle”). Rientrare significava tornare a casa, ma anche condividere con gli altri quello che sapeva a beneficio del proprio paese, la volontà illuminata di creare una sinergia tra industrializzazione (americana) e artigianalità (italiana). Inoltre, l’Italia stava avviando un processo di modernizzazione urbanistica, architettonica, tecnologica e artigianale. Su quest’ultimo aspetto si basava la volontà di recuperare “il mestiere” e la tradizione delle botteghe rinascimentali, tutti aspetti che spinsero Salvatore Ferragamo a tornare in patria. E Firenze, città simbolo di cultura e stile nazionale, fu scelta dal creatore come sede del suo laboratorio, nonché città nella quale stabilirsi.
Calzaturificio Ferragamo in via Mannelli 57, Firenze. Courtesy Museo Salvatore Ferragamo, Firenze
Lucio Venna, disegno pubblicitario per rivista. 1928. Courtesy Museo Salvatore Ferragamo, Firenze
Fortunato Depero, Carretto napoletano, Paese di tarantella, 1918. MART Archivio Fotografico e Mediateca, Trento e Rovereto
Salvatore Ferragamo, scarpa chiusa, 1925. Foto Arrigo coppitz, courtesy Museo Salvatore Ferragamo
Salvatore Ferragamo, scarpa chiusa “Autumn” 1926. Foto Arrigo coppitz, courtesy Museo Salvatore Ferragamo
Salvatore Ferragamo, Francesina. 1929 Foto Arrigo coppitz, courtesy Museo Salvatore Ferragamo
Salvatore Ferragamo, sandalo, 1930 Foto Arrigo coppitz, courtesy Museo Salvatore Ferragamo
Lucio Venna, Moderne, 1930. Bozzetto realizzato per Salvatore Ferragamo. Courtesy Museo Salvatore Ferragamo
Adina Altara, S’Isposa, 1919 collage di carte colorate. Courtesy MAN 2017, Nuoro
Maria Monaci Gallenga, Cape Manteau, 1925. Prato Museo del Tessuto. Foto Arrigo Coppitz
Sartoria parigina, Abito da sera, 1925. Prato Museo del Tessuto. Foto Arrigo Coppitz
Le Merveilleuse, Soprabito, 1926. Roma, Collezione Enrico Quinto e Paolo Tinarelli. Foto Arrigo Coppitz
Il curatore della mostra, Carlo Sisi, ci prende per mano in questo magnifico viaggio; dal transatlantico sul quale Salvatore Ferragamo s’imbarcò per tornare in Italia, ai documenti della cittadinanza americana, alle calzature più significative realizzate per le dive del cinema, ai magnifici quadri e oggetti che testimoniano la cultura e l’estetica di quegli anni. Questa mostra, infatti, oltre a celebrare quest’importante anniversario, mette in risalto come per un lungo decennio l’Italia rappresentò una fucina di idee e di sperimentazioni. Firenze, in particolare, fu in quegli anni protagonista, qui si cimentarono nelle loro creazioni uomini di immenso talento come Gio Ponti, con i suoi vasi per la Richard-Ginori, come Carlo Scarpa con i suoi disegni per le vetrate del negozio fiorentino di Cappellin, Cantagalli, con le sue maioliche, e ancora Thayaht, Balsamo Stella… Fondamentale citare anche il Regio Istituto d’Arte di Porta Romana, vera e propria officina della creatività toscana e nazionale.
Guido Balsamo Stella, Coppa “Spiaggia” 1926-1928. S.A.L.I.R., Venezia
Pippo Rizzo, La ballerina o Scenario-danzatrice, 1926. Courtesy Collezione Alberto Wolleb
Antonio Maraini, Eva, 1923 Gesso dipinto. Firenze Collezione privata. Foto Arrigo Coppitz
Dario Viterbo, Orecchini, 1926. Collezione Antognini. Foto Arrigo coppitz
Mario Guido Dal Monte Folies Bergéres. 1928. Courtesy Museo del Novecento Milano
Società Ceramica Richard-Ginori Gio Ponti, Piatto “Donatella”, 1924. Foto Arrigo Coppitz per Museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia
Giacomo Balla, Duo (Ballerini del Tik Tak), 1921.1922
Alberto Martini, La Marquise en Euterpe, 1931. Courtesy Collezione F.G.
Molto interessante la terza sezione in cui la mostra illustra i temi del folclore e del regionalismo. Un viaggio attraverso le arti applicate che, a partire dal 1923, le Biennali di Monza espongono non solo in Italia ma nel mondo intero. Un’identità nazionale fatta da tante e diverse realtà locali, la caratteristica principale del nostro paese che potremmo definire alla base dell’espressione “Made in Italy”. L’lItalia protagonista con il suo turismo internazionale alimentato dal nostro patrimonio artistico, naturalistico/paesaggistico, enogastronomico e naturalmente creativo/manifatturiero, senza uguali.
Importante anche la sala dedicata alle “Donne italiane”. In quel periodo accanto alla tradizionale figura di madre e fattrice, cara al fascismo, c’era un altro tipo di donna, quella protagonista in società, ed è questa che Salvatore guardava per creare i suoi straordinari prodotti. Foto e dipinti di donne celebri che influenzarono molto la scena culturale e sociale di quel decennio (suggestione che persiste ancora oggi), come la Marchesa Casati, le sorelle Wulz, Paola Borboni e molte altre.
Thayaht (Ernesto Michahelles);,Charleston, 1929. Courtesy Archivio THAYAHT & RAM, Firenze
Fortunato Depero, Campari Cordial Davide Campari & C. Milano, 1928. courtesy Galleria Campari, Milano
Umberto Primo Conti, Il nuotarote, 1925. Courtesy Archivio Banca Popolare di Vicenza
Moses Levy, Spiaggia, 1920. Courtesy Società di belle Arti, Viareggio
Stucchi, Recchia & C. Milano, Manichini in papier-marché e gesso, 1920. Courtesy La Rosa Mannequins S.p.A.
Schizzi di Beatrice Brandini sull’estetica della moda di quegli anni.
Schizzi di Beatrice Brandini sull’estetica della moda di quegli anni.
E’ una mostra davvero notevole, moltissime le opere esposte e tutte rilevantii (anche solo una parte di esse costituirebbero una mostra o un museo). Ho fatto fatica a selezionarne solo una parte. A tale proposito ringrazio il museo Ferragamo per la preziosa collaborazione.
Questa storia di successo fa riflettere e capire come un desiderio fatto di passione, lavoro, fatica, determinazione e coraggio possa fare la differenza, fino a realizzarsi nel migliore dei modi. Il nome Salvatore Ferragamo è infatti conosciuto in tutto il mondo, soprattutto grazie alle sue incredibili creazioni calzaturiere che sono entrate di diritto nella storia del costume, nei libri, nei musei, nelle collezioni. Un giovane ragazzo chiamato Salvatore voleva realizzare il suo sogno, sappiamo tutti come è andata a finire…
Infine mentre scrivo questo post riaffiorano in me alcuni bei ricordi. Una delle mie prime esperienze lavorative è stata proprio con la Maison Ferragamo, ricordo con affetto Giovanna Ferragamo, Anna Raggioli, Steven e Junichi, tutte persone dalle quali ho potuto imparare qualcosa.
Buona vita a tutti!
Beatrice