Tamara de Lempicka in una foto degli anni ’30
“Dorota” di Beatrice Brandini
“Io non seguo la moda, faccio la moda” Tamara de Lempicka
Un’altra figura femminile carismatica e sicuramente antesignana ed emblema della donna moderna, è quella di Tamara de Lempicka.
“Rafaela sur fond vert” 1927 Collezione A. Schulman
Ho sempre cercato di “seguirla” ovunque fosse esposta poiché ne sono da sempre una grandissima estimatrice. Amo l’Art Déco e la Lempicka, pittoricamente, ne è la più famosa rappresentante, ma avendo letto alcune biografie sulla sua avventurosa vita , la mia curiosità e ammirazione sono cresciute, fantasticando vite parallele.
Mostra a Roma al Complesso Vittoriano, Primavera 2011
Molti gli episodi degni di nota, uno fra tutti l’origine di uno dei suoi quadri più famosi, l’Autoritratto del 1932, alla guida di una Bugatti verde fiammante, in cui una sciarpa svolazzando regala movimento alla tela, e il suo sguardo, languido e deciso, ipnotizza lo spettatore.
Particolare “Saint Moritz” 1929 Museo Belle Arti di Orlèans
Si narra che vedendola in macchina e ammirando la sua fisicità e personalità, la direttrice di una rivista di moda tedesca, Die Dame, in vacanza sulla costa Azzurra, le lasciò un biglietto anonimo nel finestrino della macchina chiedendole di incontrarla in un lussuoso albergo. Tamara si presentò senza paure né remore, la donna la riconobbe e le chiese di farsi un autoritratto per poterlo pubblicare in copertina. L’artista cambiò il colore della macchina (quella reale era gialla) venendo meno al patto con la direttrice della testata. Tamara replicò dicendo che la preferiva così, con malizia ma anche determinazione, aspetti della sua personalità e parte del suo successo.
Questo episodio ha importanza anche per comprendere che questa artista, nonostante una certa notorietà raggiunta, non si faceva troppi “scrupoli” fra arte alta o “bassa” (l’illustrazione), rafforzando un genere importante, l’arte prestata alla moda.
“Autoportrait” 1932 Collezione privata
Tamara de Lempicka deve la sua formazione artistica soprattutto ad André Lhote, rappresentante di un nuovo cubismo, più stilizzato, che ritroveremo in molti quadri dell’artista polacca. Si appassiona anche a Ingres, pittore classico, che con i suoi nudi sensuali e morbidi la influenzerà soprattutto nella plasticità dei corpi. Importanti anche alcuni viaggi in Italia, dove visita musei per studiarne opere (fra tutti il Pontormo agli Uffizi) e la frequentazione di alcuni pittori italiani fra i quali Severini o Tozzi, spesso a Parigi.
“Jeune fille en vert” 1929 Parigi Museo Nazionale di Arte Moderna Centro G. Pompidou
La prima personale della Lempicka viene allestita nel 1925 a Milano, presso la Bottega di Poesia del Marchese di Castelbarco. Fin da questa mostra si rivelano le sue indiscutibili doti e il suo incredibile talento artistico. Tuttavia, secondo me, la caratteristica più importante di questa artista è, fin dall’inizio, uno stile inconfondibile e riconoscibilissimo. Solitamente gli artisti attraversano varie fasi, sperimentando tecniche e stili diversi, aderendo a correnti artistiche/culturali. Ecco che per Tamara lo stile e il segno sono stati chiari fin dagli esordi. Infatti se prendiamo un opera degli anni venti e la confrontiamo con una degli anni quaranta/cinquanta le differenze sono minime (a parte una parentesi di astratti, frutto del soggiorno americano).
“Le téléphone” 1930 Collezione W. Joop
Si separa dal primo marito e va a vivere in una casa a Parigi che diventa ben presto fulcro della mondanità parigina, nonché scenografia ideale dei suoi dipinti. Successivamente incontrerà il barone Kuffner, già suo estimatore e collezionista, con il quale si sposerà per la seconda volta. Tuttavia da questo matrimonio le sue esposizioni diminuiscono e i critici saranno meno attenti e interessati alla sua opera. Tamara de Lempicka diventa ormai più nota come Baronessa Kuffner.
L’esilio americano, allo scoppio della seconda guerra mondiale, fa si che i suoi personaggi diventino più superbi, quasi arroganti, e lo sfondo delle sue tele siano caratterizzate dalla veriticalità dei palazzi (New York più che Los Angeles).
La sua fama è sempre grande ma è più legata al suo nome che alla sua arte. A New York stanno trionfando artisti come Pollock, Rothko, De Kooning, lontanissimi dall’estetica della Lempicka.
“Femme à la colombe” 1928-30 Collezione J. Nicholson
Mi spiace constatare che anche l’arte, come la moda, spesso si nutre di “prede” fresche, per poi abbandonarle e sostituirle senza troppe remore. Scrivendo in questi mesi di personaggi incredibilmente creativi, dall’immenso talento, spesso si nota come la loro fine sia stata molto meno gloriosa del loro debutto. Non è sempre così, vedi Picasso, ma talvolta, troppo spesso, si. Ecco vorrei che ciò non accadesse più, lo trovo ingiusto, nonché moralmente sbagliato.
Abiti anni ’30 interpretati da Beatrice Brandini
Natalia Vodianova Steven Meisel – Vogue Italia …Ispirazione Lempicka
Sono d’accordo che l’arte, come la moda e come tutte le forme di creatività, abbiano bisogno di un ricambio generazionale, di nuovi stimoli, di nuove promesse. Ma senza dover necessariamente abbandonare, o peggio, denigrare il “vecchio”. Una creazione di Albini, un abito della Schiaparelli, un quadro della Lempicka, una canzone di Sinatra, un film di Antonioni, sono valori intramontabili, oltre che “opere/oggetti” bellissimi. Voler il nuovo a tutti costi non solo non sempre premia, da un punto di vista qualitativo, ma qualche volta potrebbe voler dire anche convivenza, e trarre ispirazione dalla nostra storia e dal nostro passato, perché non provarci?!
Buona vita a tutti!
Beatrice
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